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Il letargo di Chiara

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Un labirinto nebbioso ti si apre davanti.

Cieca procedi a tentoni nell’oscurità, di un paesaggio di cui scorgi solo i contorni.

Ti vorresti  fermare, magari arretrare, alla ricerca di un percorso diverso.

Non ti è dato scegliere, è la vita a condurti con un abbraccio: in un ballo che segue un proprio ritmo.

Arretrare significherebbe morire.

E tu questo certamente non lo vuoi!?

Sei una delle tante pedine che ha un suo ruolo da celebrare, in questa scacchiera dagli opposti colori.

Non puoi rimanere incollata ad una casella come un bottone ad un pezzo di stoffa.

 

Eppure io sono sicura che un granello di speranza ti è rimasto, una piccola flebile fiammella all’apice di un cerino, sta accantonata da qualche parte.

Una fiammella che il vento della vita fa lampeggiare in un’ altalena di luce/buio, speranza/angoscia. gioia/sofferenza, libertà/schiavitù, vita/morte.

Usala per osservare la medaglia da ambo le parti.

Sarà il tuo paracadute quando cadrai, sarà il tuo salvagente quando starai per annegare. Sarà il faro che illuminerà il tuo percorso, per uscire da questo buio momentaneo.

Ogni evento possiede un inizio, ogni evento possiede una fine.

 

Come il contadino usa l’aratro  per lavorare e rendere la terra pronta ad accogliere ogni seme, tu dovrai saper  rendere la tua anima pronta ad  accogliere la vita, in tutte le sue tonalità dalle più chiare alle più scure.

Devi togliere il velo e specchiarti nuda.

Nello stesso modo di quando rifletti la tua immagine esterna allo specchio, che ti svela le tue qualità e le tue imperfezioni, specchia anche l’altra dimensione,  dalla testa ai piedi, senza timore.

Per prenderne coscienza e tornare ad amarti.

 

Tutto questo, avrebbe voluto dire Emma alla sua bambina, solo se lei l’avesse ascoltata, solo se lei le avesse accordato un po’ della sua fiducia, proprio come quando era piccola.

Troppe volte Chiara si rintanava  al buio della sua stanza.

Il suo letto diventava la placenta, dove in posizione fetale si accovacciava.

A volte faceva lunghe dormite, popolate da sogni, strani che mai ricordava.

Altre volte rimaneva sveglia, in preda all’insonnia ed al monotono ed insistente canto del grillo che le si appiccicava addosso senza darle tregua.

Silenzio totale, silenzio di tomba, questo avrebbe voluto.

Come spegnere quel canto ? Come avrebbe voluto poterlo fare con la facilità con cui aveva spento il cellulare e la TV e pure i sogni.

Invece il canto rimaneva appeso al suo orecchio come un orecchino fastidioso che non riusciva più a togliere.

 

Un vero e proprio letargo quello di Chiara, che durava innumerevoli giorni.

Dov’è Chiara? chiedevano alla mamma gli amici.

“E’ andata all’isola d’Elba dalla nonna rispondeva Emma a  malincuore.”

Nessuno si era accorto di niente, anzi, i conoscenti si erano abituati ai soggiorni Elbani di Chiara, qualcuno addirittura la invidiava.

 

Chi l’avrebbe detto che quella ragazza, bella solare, che dava consigli a tutti, nascondesse dentro di sé un’angoscia così pesante ?

Emma per ogni malanno di sua figlia aveva sempre pronta una valida medicina: miele e limone per il mal di gola, gocce di olio tiepido per il mal di orecchi a cui Chiara si affidava completamente.

“ Nessun medico ha la capacità di mamma Emma di guarirmi”

Ma questa volta Emma non conosceva alcun rimedio che riuscisse a sollevare Chiara da quella malattia, non ne comprendeva le cause, ma la meschinità della sintomatologia la trascinava in un  vortice di disperazione estrema, dalle cui mani aveva imparato a sgusciare con la sinuosità di un’anguilla.

Doveva mantenersi in forma, non poteva permettersi di cedere alla debolezza,  doveva sfoderare la forza della leonessa e conservarla per essere di aiuto alla sua cucciola.

 

“Male di vivere lo chiamano”

Solamente ricordarlo la mandava in crisi.

Un male subdolo che inizia con la malinconia, per sfociare in un oceano di apatia, e culminare con l’odio per la vita, e la voglia di esistere.

Non era possibile, che la sua cara bambina non sentisse il desiderio di uscire, farsi scaldare dai raggi di sole, godere della bellezza della natura, incontrare gli amici.

Preferendo invece rimanere isolata nella sua camera, sola, distesa come una sepolta viva.

Non osava bussare alla porta della cameretta,  sapeva che l’avrebbe ignorata, sapeva che non l’avrebbe neppure sentita.

Sapeva che doveva attendere che fosse lei ad uscire.

I giorni passavano con lentezza di tartaruga.

Quando l’avrebbe fatto?

Emma per la prima percepiva la sua impotenza.

 

Era giunto il momento di chiedere aiuto. Rompere il silenzio.

Emma prese la cornetta e fece la telefonata.

Era sicura che la specialista sarebbe stata in grado di aiutare Chiara.

 

 

 

 

 

 Giacomo Colosio - 11/06/2014 15:59:00 [ leggi altri commenti di Giacomo Colosio » ]

Drammatico questo racconto...c’è molto pathos nei pensieri di Emma...bella anche la lettera iniziale...c’è un piccolo refuso...Il suo letto diventava la placenta, dover in posizione fetale si accovacciava...hai battuto r insieme ad e...
Quando ho letto dell’Elba, dove vivo a metà con Brescia, ho anche pensato che quella bella isola è adatta alla meditazione ma forse ci si isola ancor più...non credo sia l’ideale. ciaociao e brava.

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